Inquinamento luminoso – Fino a quando potremo ancora vedere le stelle?
/ 27.08.2018
di Jonas Marti
Una notte di gennaio del 1994 le luci di Los Angeles si spensero improvvisamente. Un terremoto aveva provocato un gigantesco blackout. La conseguenza fu una raffica di telefonate allarmate alla polizia, con i cittadini preoccupati che riferivano di vedere «uno strano cielo dopo il terremoto». Gli abitanti di Los Angeles avevano visto la Via Lattea, per la prima volta.
Addio notte, addio stelle. «Ubriacarsi a grandi sorsate del cielo notturno», come dicevano i poeti francesi, oggi è sempre più difficile. In alcuni luoghi addirittura impossibile. Le luci artificiali ci hanno rubato l’ancestrale oscurità. E negli ultimi anni la superficie illuminata del nostro pianeta è cresciuta di quasi il dieci per cento. Mai come oggi ogni cosa è illuminata: sul nostro comodino, nei nostri salotti, fuori per le strade, con i lampioni, le vetrine e le pubblicità. Forse abbiamo esagerato, dice qualcuno. E la nera notte rischia di sparire per sempre.
In diversi non sono riusciti a vedere bene la recente eclissi lunare, nemmeno con il cannocchiale. E alzi la mano chi, la notte di San Lorenzo, è riuscito a osservare le stelle dal proprio balcone o dal proprio giardino, senza fuggire dai centri abitati, in montagna, o almeno in collina. Ma anche lì, il nero del cielo non era poi così nero.
In Svizzera – dice la International Dark-Sky Association, la principale organizzazione internazionale di lotta contro l’inquinamento luminoso – è rimasto solo un luogo considerato «incontaminato»: un piccolo quadratino nella zona della Greina. In tutto il resto del territorio nazionale le tenebre sono state definitivamente sconfitte. Da oltre venti anni sull’Altipiano non c’è più nemmeno un chilometro quadrato nell’oscurità totale, lamentava qualche tempo fa Danièle Hofmann dell’Ufficio federale dell’ambiente. Mentre l’ultimo paese che aveva resistito senza illuminazione pubblica, Surrein nel Canton Grigioni, ha infine ceduto alle lusinghe della luce e ha installato recentemente una cinquantina di lampioni.
Le onde prodotte dai centri urbani non conoscono ostacoli e si propagano molto lontano, spiega Stefano Klett, instancabile protettore del cielo notturno, vice presidente di Dark-Sky Switzerland e fondatore della sezione in lingua italiana: «L’inquinamento luminoso che provochiamo è visibile oltre i cento chilometri di distanza. Un esempio: se vado al Lucomagno e guardo verso sud vedo l’alone della Lombardia».
Per rendersene conto basta osservare il bordo sinistro di una banconota da venti franchi. Se la piegate leggermente, ci vedrete riflessa la cartina della Svizzera. È la mappa dell’inquinamento luminoso. Se però non volete strizzare gli occhi, ci sono altre mappe, più grandi e leggibili. Come quella elaborata sempre da Dark-Sky Switzerland, dove la Svizzera appare quasi interamente gialla e verde, con le zone critiche, gli agglomerati urbani, colorate in rosso. «Facendo i dovuti conti, possiamo dire che nella maggior parte del territorio le stelle sono più che dimezzate in rapporto al cielo naturale. Scendendo invece dalle valli verso le zone urbane si vedono invece unicamente i pianeti e le stelle più brillanti», dice Klett.
E nella Svizzera italiana? In Ticino ci sono sono tredici stazioni di misurazione distribuite sul territorio, uno dei primi network automatizzati in Europa per l’analisi dell’inquinamento luminoso. Il picco di luce – non sorprende – è nel Mendrisiotto, incuneato in una delle zone più luminose al mondo, la Pianura Padana. Al secondo posto in classifica c’è invece Lugano (con 9191 punti luce, di vario tipo e potenza), seguito da Locarno e Bellinzona. E infine ci sono le valli. Ovunque lampioni, facciate illuminate, insegne luminose.
Eppure qualcosa si comincia a fare. Il primo comune a dotarsi di una regolamentazione per ridurre l’inquinamento luminoso è stato Coldrerio, nel 2007, con un’ordinanza municipale che fece molto parlare perché fu la prima in tutta la Svizzera. Dalle 24 alle 6 dovevano essere spente tutte le illuminazioni, comprese le vetrine dei negozi. Oggi diversi comuni si sono dotati di una legge, più o meno severa. Ma secondo alcuni si può e si deve fare di più. In una interrogazione dell’anno scorso rivolta dai Verdi al Municipio di Lugano si legge che «l’inquinamento luminoso prodotto dall’agglomerazione di Lugano, con i suoi 151mila abitanti è maggiore di quello dell’agglomerazione di Berna, con 410mila abitanti.»
La spiegazione di Klett: «In Ticino si vuole illuminare tutto. È una tendenza che si ritrova nei cantoni latini, anche in questo caso meno attenti all’ambiente rispetto a quelli tedeschi. Prendiamo Bellinzona e San Gallo. Dalle immagini satellitari notturne San Gallo, che è più popolosa di Bellinzona, in pratica non si vede. Bellinzona è invece ben visibile. Certo: ci sono i castelli. Ma è davvero necessario illuminarli tutta la notte? A quella potenza?»
Monumenti a parte, dicono gli esperti, il vero nemico mangiabuio sono i nuovi lampioni con luce LED fredda, che sempre più spesso stanno sostituendo quelli tradizionali. Gli elogi sulle qualità rivoluzionarie di questi diodi elettroluminescenti non si contano: consumano 20 volte meno energia e hanno una durata 100 volte superiore alla lampadina a incandescenza. Un sogno ecologista, senza dubbio, che però sta aggravando l’inquinamento luminoso. Il LED freddo emette un picco di luce blu che, per ragioni fisiche, si diffonde più facilmente nel cielo rispetto alle luci calde che tendono verso il rosso. Molte autorità comunali in Svizzera si dicono consapevoli delle sue controindicazioni, ma intanto se ne continuano a installare. Anche qui, secondo Stefano Klett, basterebbe poco.
«In Arizona ci sono città come Phoenix e Tucson, abitate da centinaia di migliaia di abitanti. Hanno installato i LED a luce calda, e da vedere dall’alto non sembrano così popolate. L’inquinamento luminoso è basso e infatti nella regione ci sono osservatori astronomici molto rinomati. Lì si è trasferito anche il telescopio del Vaticano, fuggito dai cieli inquinati d’Europa». Senza contare che la luce blu è quella che ha più impatto sulla salute di uomini e animali. Inibisce la produzione di melatonina, un ormone cruciale per il nostro ciclo biologico. Ed è disastrosa per molti insetti notturni, che dipendono dall’oscurità e dalla luce naturale per orientarsi, nutrirsi e riprodursi.
Forse è un sogno. Un’utopia. Ma Stefano Klett continua con la sua battaglia. «Basterebbe spegnere le luci. E l’inquinamento luminoso sparirebbe all’istante. Se, per altri inquinamenti come quello dell’aria, elimino le energie fossili ci vuole ancora tempo per risanare l’ambiente. Se elimino le fonti di luce artificiale, il risanamento è invece istantaneo».
Spegnere la luce, e riaccendere le stelle. Per guardare in alto e capire che lassù c’è un intero universo, e noi non siamo altro che un piccolo pezzetto di terra sospeso nel mezzo.